Rete civica di Palermo:
Itinerario 1
Quattro Canti - Palazzo Pretorio - Teatro Bellini - Fontana Pretoria - Martorana - S. Cataldo - Mura antiche - Palazzo Università - Casa Professa - S. Orsola - S. Antonino - Monumento equestre a Vitt. Em.le II - Ponte Ammiraglio - S. Giovanni dei Lebbrosi - S. Spirito o Vespri.

I Quattro Canti o Piazza Vigliena prendono il nome dal vicerè marchese di Vigliena che il 21 Dicembre 1608, giorno di S. Tommaso apostolo, diede l'inizio alla costruzione delle quattro cantoniere alle strade.
In questa piazza ottagonale convergono quattro vie diritte. Le quattro facciate sono ricche di tre ordini architettonici, il primo dorico, il secondo ionico, il terzo vario. Nel primo sono quattro fontane che rappresentano allegoricamente le stagioni; nel secondo alcuni re spagnoli (Filippo II, III, IV e Carlo V); nel terzo le sante Oliva, Cristina, Ninfa e Agata. Nel Cinquecento la piazza era il cuore di Palermo, in essa si sviluppava il commercio della città popolandosi quotidianamente da servitori, cocchieri e non impiegati in cerca di lavoro.
Poco lontano dai Quattro Canti, sorge Palazzo Pretorio al quale si perviene imboccando la via Maqueda (dal nome del vicerè che nel XVI secolo la aprì). Esso occupa uno dei lati di Piazza Pretoria; accanto al portone la storica campana che annunziava la seduta del senato. In alto, in una nicchia, una statua di S. Rosalia che veglia sul comune. Di poco valore la statua a Giovanni Meli situato nel cortile; ai piedi dello scalone d'onore nell'angolo sinistro è il Genio di Palermo (sec. XV) su colonna di porfido.
La piazza è popolata da statue numerose che fanno da corona ad una fontana monumentale. L'insieme architettonico, opera dei fiorentini Francesco Camilliani e Michelangelo Naccherini, risale al secolo XVI, e costò allora al Senato ventimila scudi.
E' una foresta di divinitα marmoree le cui pagane nuditα furono, nel passato, per le benigne motivo di scandalo. Gli scherzi d'acqua di allora non sono oggi pi∙ possibili; le trentasette statue della piazza hanno perduto parte del loro brio: resta l'insieme monumentale ed ornamentale che Φ cospicuo ed Φ ora avvalorato da una pi∙ efficace illuminazione.
Da un breve passaggio a sinistra del Palazzo Pretorio, si accede in Piazza Bellini dove si trovano:
  1. il Teatro Bellini, fondato nel 1726 col nome di S. Lucia, successivamente distrutto, nel 1808 ricostituito col nome di Carolino, oggi decaduto d'importanza.
  2. la Chiesa di S. Caterina con annesso monastero. Per quanto la chiesa sia un singolare documento del barocco siciliano per i suoi marmi policromi e la sua composizione geniale, i lavori di Vito D'Anna, di Filippo Randazzo e soprattutto di Antonello Gagini, cui si deve la statua che raffigura la santa cui l'edificio è dedicato, ne accrescono il pregio. La fama della chiesa è accompagnata a quella dei dolci di Batia preparati nel monastero annesso e ricercati dal più raffinato pubblico palermitano e dai turisti. L'industria dolciaria fu gloria, con quello di S. Caterina, di altri monasteri di Palermo.
  3. la Martorana o S. Maria dell'Ammiraglio, chiesa normanna fra le più interessanti, fondata nel 1184 da Giorgio di Antiochia, valoroso ammiraglio di Re Ruggero che la dedicò alla Vergine. Poco dopo la sua edificazione fu visitata da un viaggiatore arabo, Ibn Gubayr. I secoli non hanno ancora scolorito la fresca e ammirata immagine che il visitatore orientale portò con sè lasciando l'isola per altri lidi. Le pareti interne sono dorate con tavole di marmo a colori, che uguali non ne furono mai viste; tutte intarsiate con pezzi da mosaico d'oro; inghirlandate di fogliame con mosaici verdi; in alto poi s'apre un ordine di finestre di vetro color d'oro che accecano la vista col bagliore dei raggi e destano negli animi una sensazione di tranquilla appagatezza. Si dice che il fondatore di questa chiesa, del quale essa ha preso il nome, vi spese dei quintali d'oro. Questa chiesa ha un campanile, sostenuto da colonne di marmo di vari colori e sormontato da una cupola che poggia sopra altre colonne: lo chiamavano il campanile dalle colonne. Il nome di Martorana venne alla chiesa da un contiguo monastero che era stato edificato da Eloisa Martorana (1193). Il turista si fermi ad osservare, fra i mosaici che si trovano nell'interno, quello che raffigura Giorgio Antiocheno ai piedi di Maria di cui invoca la protezione per averle donata la chiesa, come si rileva dal cartello che è presso di lei. Stia attento al particolare che solo la testa e le mani dell'Ammiraglio sono antiche. E tenga conto degli affreschi che si trovano nel prolungamento occidentale: sono del fiammingo Guglielmo Borremans, venuto a Palermo nel Settecento, capo di una famiglia di artisti che lasciarono impronte notevoli della loro arte nella città. In alto, delle grate claustrali darebbero un senso di prigionia e di tedio se lo splendore del lavoro in ferro battuto non facesse restare ammirati;
  4. la Cappella di S. Cataldo che è contigua alla Martorana, oggi sede dei Cavalieri del S. Sepolcro. Appartiene anch'essa al periodo normanno; restauri compiuti verso la fine dell'Ottocento dall'architetto Patricolo hanno ravvivato le sue linee architettoniche originarie. Essa ha qualcosa di orientale per via delle sue arcate esterne e delle tre cupolette dipinte in rosso. L'interno è di una nudità ieratica e il pavimenta è quello originario. Abbiamo un dato certo della sua antichità: era già costruita nel 1161 a quanto si rileva dalla iscrizione del sepolcro che conserva il frale di Matilde figlia del conte Silvestro di Marsico. Il prospetto di S. Cataldo, che volge verso la via Maqueda, ora è perfettamente in vista, dopo le demolizioni degli edifici che lo nascondevano e la sistemazione dello arioso Largo dei Cavalieri del S. Sepolcro. In conseguenza di tali demolizioni è comparsa una completa pagina di storia palermitana, rappresentata da avanzi murali
  5. (Mura Antiche) di vari tempi, ch'erano chiusi nel terrapieno. Piloni e muri del seicento, muri normanni e arabi, ruderi modesti ma preziosi di strutture antiche. Questi sembrano appartenere al periodo preromano di dominazione punica con rimaneggiamenti posteriori e potrebbero essere in connessione con le antiche fortificazioni che passavano sotto l'attuale edificio che in via Maqueda 172 ospita l'Istituto di Diritto Romano (ex Convento della Martorana).
Di fronte a piazza Bellini si leva il Palazzo dell'Università, in cui ha sede la Facoltà di Giurisprudenza.
A destra del palazzo è la via dell'Università. Ivi cadde il primo giorno dell'insurrezione del 1848 Pietro Amodei sotto i colpi di una pattuglia di cavalleria borbonica. Era uno degli ispiratori della rivoluzione e il suo fu il primo sangue che si versasse.
Proseguendo per via Maqueda si incontra a destra la via Ponticello

. Imboccatala si giunge in breve alla chiesa di Casa Prolessa, appartenente alla Compagnia di Gesù. E' fama che in questo stesso luogo sia stato prima del mille il tempio da alcuni monaci basiliani dedicato a S. Filippo di Argirò. Tutta la zona fu devastata dalle incursioni aeree, la chiesa stessa gravemente colpita. La decorazione barocca di tarsie e statue marmoree, gli stucchi delle volte, gli affreschi furono offesi.
Ma chi adesso, dopo il completamento felice dei restauri entra nella Chiesa, la cui cupola e le cui arcate sono state ricostruisce, si sente folgorato e quasi atterrato da un saluto d'oro. Un mirabile e trionfale barocco siciliano lo accoglie con luci e sensazioni nuove, più smaglianti di ieri. Le due tele di Pietro Novelli e gli stucchi del Serpotta ci confermano che siamo in Sicilia, ma lo sfarzo e la pompa di tutto il complesso gridano la resurrezione della Spagna in uno dei quartieri cittadini che più furono ribelli al suo dominio.

Accanto a Casa Professa è la Biblioteca Comunale.
La Biblioteca fu fondata nel 1760 per iniziativa di un gruppo di patrizi che le regalarono i propri libri e per il favore accordatole dal vicerè Fogliani. Fra i suoi bibliotecari si ricorda Gioacchino Di Marzo (1839-1916) uno dei più grandi eruditi che abbia avuto l'isola.

Poco discosto è il popolare quartiere dell'Albergberia il cui centro rumoroso è Piazza Ballarò, vivace mercato di verdure, e di carni. Strade ingombre di carrettini, di ceste, di panche, odore di friggitorie, vocìo assordante, brulicare di persone; il quartiere conserva ancora una impronta genuina e popolaresca.

In fondo alla piazza è la chiesa del Carmine che risale al 1626; e poco lontana in un vicoletto sudicio e breve, costituito di poche case, semioscuro, quasi sperduto nel groviglio di vicoli, di cortili, di piazzette che formano la Albergheria, e che porta un nome che evoca tutta una storia di mirabolanti avventure: Conte Cagliostro.
Lì, nella prossima via delle Mosche, nel Settecento vissero i Balsamo. Libraio il nonno, commerciante fallito il padre, avventuriero e ciurmadore il più famoso di tutti i tempi Giuseppe che doveva percorrere l'Europa come un mago, un falsario, un demone, mentre covava il fuoco della Rivoluzione francese. Per questi sudici anditi passò Goethe nell'aprile del 1787, spinto dalla curiosità di conoscere la famiglia di colui che trionfalmente viaggiava per l'Europa col titolo altisonante di Conte Cagliostro; e qui seppe che aveva avuto umili natali nel 1743 e che era stato tenuto a battesimo dalla zia Vincenza Martello maritata Cagliostro: qui ritrovò in dignitosa povertà i congiunti e soprattutto, commovente nel suo dolore, la madre. Accompagnato da un amico, il sommo poeta tedesco si recò a visitare la famiglia che del famoso congiunto non aveva che qualche vaga e pallida notizia. Nel suo " Viaggio in Italia " Goethe si è diffuso largamente sulle conversazioni avute e sulla impressione ricevuta. L'ambiente che il Goethe ci ha tramandato ci sembra ancor vivo oggi. I vicoletti, le misere scalette, le donne in cucina, le immagini devote nelle cornici dorate, gli stipi di colore oscuro sono lo sfondo su cui ancor oggi si muovono protagonisti dalla parlata schiettamente popolare, dagli impulsi spontanei, dalle invocazioni ai santi, dagli sguardi accesi che si fissano spesso nelle lontananze. Ancor oggi come ieri su tutto è l'ombra malefica e affascinante del più grande avventuriero di ogni secolo: Giuseppe Balsamo.

Rifacendo la stessa strada, si ritorni adesso in via Maqueda. Nulla di notevole nel tratto fino a Piazza S. Antonino, di scarso valore essendo alcuni palazzi settecenteschi che vi si incontrano.

Rifacendo la stessa strada si ritorni in via Maqueda. Prima di giungere a piazza S. Antonino si incontrano la chiesa tardo-rinascimentale di S. Ninfa dei Crociferi che possiede tre tele di Guglielmo Borremans, e la ex casa dei Padri Crociferi con un grandioso scalone di Giacomo Amato, non chè il Palazzo Comitini, e nei pressi di questo la chiesa di S. Orsola.

Più interessante, una volta arrivati a piazza S. Antonino, è la visita della chiesa di S. Antonino che ha il pregio di conservare un Crocifisso scolpito da Frà Umile Pintorno da Petralia Soprana, francescano vissuto nel secolo XVII, per molti aspetti degno di essere avvicinato al Beato Angèlico. Venuto dai suoi monti, la sua arte ingenua dedicò a Cristo e più di trenta figure del Redentore scolpi sulla croce dolorosa, fra cui molte di una evidenza tragica. Esse sono disseminate in molte chiese di Sicilia. Il Crocifisso della chiesa di S. Antonino non è il migliore, ma lo rende più suggestivo il fatto che il serafico autore riposa il sonno estremo poco lontano. Da notare che il feretro era andato perduto nei secoli scorsi. Fu ritrovato in un andito gocciolante, tutto tarlato, quando si era perduto il ricordo del suo seppellimento nella chiesa. Fu conteso all'acqua e all'oblio, ed è oggi conservato nell'ultima cappella di destra.

Contiguo alla piazza di S. Antonino è il Piazzale Giulio Cesare. Dinanzi all'edificio della Stazione Centrale delle FF.SS. è il monumento equestre a Vittorio Emanuele II, opera di Benedetto Civiletti.


A San Giovanni dei Lebbrosi, Maredolce e S. Maria di Gesù.

Si parta dalla Stazione Centrale FF.SS.
Si imbocchi la via Lincoln. A Porta di Termini, dove avvenne un cruento scontro la mattina del 27 maggio 1860 fra garibaldini e borbonici, si volga a destra e si faccia a ritroso il glorioso cammino dei prodi di Garibaldi, seguendo il Corso dei Mille.

In fondo al predetto corso si erge il Ponte dell'Ammiraglio, costruzione normanna che rimonta al 1113 ed è dovuta all'Ammiraglio Giorgio di Antiochia.
Presso gli undici archi disuguali del ponte si combattè, il 27 maggio, il primo scontro fra i Mille e le scorte borboniche, quando ancora l'alba non era sorta; mentre al prossimo Bivio della Scaffa il sangue di alcuni capi dei picciotti siciliani consacrava la partecipazione del popolo all'impresa di Garibaldi venuto, come detto l'Abba, a cercare l'Italia nel cuore di Palermo.

Dal bivio della Scaffa si imbocchi a sinistra la via Salvator Cappello nella quale, a destra, è il cancello d'ingresso di S. Giovanni dei Lebbrosi.
Subito si offre al visitatore, nella cornice esotica di slanciate palme, l'edìficio normanno benissimo conservato. Caratteristici gli archetti pensili nell'interno della cupola moresca e le transenne nelle finestre restituite nel 1920 alla forma antica.

Si ritorni ora al Bivio della Scaffa e si prenda a destra percorrendo la Via Brancaccio. Da questa si passi nella Via Conte Federico. A sinistra si trova la Via Emiro Giafar (che si vuole essere stato il fondatore del Palazzo della Favara o di Maredolce) che va verso il mare. Per accedere al palazzo si imbocchi invece il Vicolo Castellaccio, e si avrà l'incontro con la misera oltraggiata ruina di quel che fu, secondo un poeta arabo, " Favara dei due mari che contenta ogni brama di vita dilettosa e di magnifica apparenza ".

Da quest'ultimo si può pervenire a S. Maria di Gesù, passando, prima, vicino la Chiesa di S. Ciro, poi, proseguendo attraverso la via Brasca fino a giungere ad una croce da cui, dopo una interessante passeggiata di circa 1 km., si arriva a destinazione. S. Maria di Gesù si trova alle prime falde del Monte Grifone. La chiesetta pittoresca, che rimonta al sec. XV, è prossima a un piccolo cimitero che si presenta al visitatore come un rifugio fresco e un delizioso giardino. Fra le tombe è quella, con monumentino, del poeta Luigi Mercantini, autore dello Inno di Garibaldi.
Accanto alla chiesa è anche un suggestivo chiostrino con capitelli di forme originali. In una fontanina centrale è descritto il trasferimento delle spoglie del Beato Matteo da Agrigento a S. Maria di Gesù, dopo una grottesca contesa fra monaci.
Dalle finestre del convento e dal cosidetto Belvedere si può godere la vista migliore della città di Palermo fra quante è possibile goderne dai dintorni.

Prima di rientrare a Palermo, si consiglia recarsi a visitare la chiesa normanna di S. Spirito o del Vespro, famosissima nella storia perchè il martedì di Pasqua del 1282 si accese davanti ad essa la prima mischia fra cittadini e soldati angioini, si sparse il primo sangue, proprio nell'ora del vespro, e si iniziò quella terribile sollevazione che avrebbe cacciato i francesi dall'isola ("la mala signoria" che indusse "Palermo a gridar Mora! Mora!" come Dante ricorda nell'VIII Canto del Paradiso).
La chiesa si trova rinserrata nel cimitero di S. Orsola. Pare sia stata fondata verso il 1175 mentre era re Guglielmo II.




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